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giovedì 1 dicembre 2011
SKIN-ON-FRAME: solido, sicuro, performante!
di Giorgio Perrotta
Fine ottobre 2010. Espongo a Piero l’idea di fare un viaggio lungo, di più giorni, con uno dei suoi Skin-on-frame al posto del mio solito kayak in vetroresina. In compagnia o da solo, con l’unico vincolo di un ritmo elevato di navigazione. Dove? …da decidere. Piero, subito d’accordo, non aspettava altro per consacrare, una volta per tutte, questa tipologia di kayak, ancora vittima innocente, almeno in Italia, di un certo ingiustificato scetticismo. Decidiamo in linea di massima il periodo: maggio-giugno, giornate lunghe, non troppo caldo, luoghi ancora poco frequentati se non addirittura quasi deserti.
Novembre 2010. Arbatax-Olbia. l’itinerario è deciso. Non troppo lungo, non troppo difficile … e soprattutto bello! In più facile da pianificare, partenza e arrivo Civitavecchia e traghetti a volontà!
Marzo 2011. Da qualche giorno sto aiutando Piero nella realizzazione del “Baidarka doppio”. Di fronte all’imponenza della struttura nuda di di quest’imbarcazione di quasi 6,5 metri non si può non rimanere affascinati! Lo stesso Piero non nasconde l’emozione nel vedere la “creatura” mentre prende forma. Fino a quando un bel giorno non ha esclamato: …e se venissi anch’io col Baidarka?
Da li a poco anche Alberto Ruggieri si è reso disponibile e io non nascondo di essere ben contento della sua autorevole presenza. All’occorrenza la sua indiscutibile preparazione potrà rivelarsi preziosa, garanzia della riuscita del viaggio in tutta sicurezza!
Giugno 2011. E’ il momento di partire, alla fine saremo solo io e Alberto, Piero a malincuore sarà costretto a rinunciare per impegni familiari.
Partenza fissata per mercoledì 8 Giugno da Civitavecchia con arrivo ad Arbatax giovedì mattina alle 5,00; il ritorno aperto, ma non oltre il 17 Giugno, da Olbia o Golfo Aranci.
Originariamente con Piero, avevamo pensato di realizzare appositamente un kayak con alcuni adattamenti specifici ad un viaggio di più giorni, ma soprattutto, costruito sulle mie misure! Il tempo tiranno poi, ci costringerà ad utilizzarne uno dei suoi. La scelta è andata su “Gemma”, fra tutte le realizzazioni di Piero il più generoso di volume e il più tranquillo (buona stabilità primaria) e molto veloce, volendo fa oltre 10 km/h. Peso circa 20 kg.
Gemma è un West-greenland costruito anche badando alla comodità del fruitore, con un discreto spazio nel pozzetto, ed un masik decentemente alto. E’ ben diverso da certe “realizzazioni” che ho visto recentemente, veramente poco fruibili, costruite inseguendo scuole di pensiero non curanti del fatto che gli “indoeuropei” morfologicamente sono diversi dagli eschimesi. Perdippiù sopravvalutando la nostra elasticità fisica, non considerando neppure che noi li utilizziamo ad una età spesso anche doppia della semplice aspettativa di vita degli eschimesi che a 15 anni erano già uomini! Un masik troppo aderente, non sopperisce a una nostra incompleta preparazione tecnica, non facilita quindi nessuna manovra, tantomeno l’eskimo, anzi per qualcuno può essere se non un ulteriore impaccio, sicuramente un potenziale pericolo!!!
Il giorno prima di partire, sul prato del giardino di casa di Piero, mi metto al lavoro per fare i dovuti adattamenti e una prova di carico, ovviamente statica. Tutto l’occorrente è stivato in 7 sacche stagne di vario volume, una borsa da ponte che fungerà da day-hatch, il carrello, 5 bottiglie di acqua e pagaia di riserva. Sistemato il tutto dentro e sul kayak, provvedo all’ultimo adattamento… me! Dovrò spostare la seduta in avanti, visto che il masik è posizionato sulle misure di Piero più alto di me di alcuni centimetri. Poi, elimino lo schienalino che impedisce il carico a poppa, sostituendolo con il paddle-float gonfiabile che mi fornirà un appoggio lombare, rapidamente amovibile.
Non c’è tempo per una prova in mare così caricato; circa 35 kg di equipaggiamento. Dovrò fare affidamento sulla bontà del progetto (su cui non ho dubbi) e sul mio spirito di adattamento!
Annotazione finale: al kit di riparazione aggiungo ago, filo, pezzi di tessuto e un po’ di vernice!
Una vacanza in kayak da mare fuori dagli schemi…
oppure no! … nel senso che gli Skin-on-frame sono i veri diretti discendenti delle imbarcazioni a cui si ispirano (a volte vagamente) gli attuali kayak da mare in composito e polietilene. Certamente dei veri strumenti atti ad affrontare mari a volte fra i più difficili di questo mondo, se ricostruiti con criterio filologico con quanto realizzavano e utilizzavano gli “esperti indiscussi”!
Quindi, gli “skin”, rispettosi dei loro progetti e delle loro scelte in quanto a linee d’acqua, SONO il “kayak da mare”! Ecco allora, che da questi schemi forse non si sta poi così fuori, Anzi!
Dopo avere avuto la fortuna, grazie a Piero, di provarne e utilizzarne diversi, anche in maniera intensiva, come in questo viaggio affrontato con la sua raccomandazione di strapazzare l’imbarcazione per farne emergere i limiti, per meglio definirli, mi sento di utilizzare questi termini: solido, sicuro e performante.
Solido: a dispetto della sua leggerezza non teme più degli altri kayak botte, colpi, sgraffi ecc. cosa di cui ancora oggi non mi faccio tanto capace… però è così! Le particolari attenzioni che all’inizio gli dedicavo in questo viaggio, giorno dopo giorno, sono venute meno e svaniti tutti gli ingiustificati timori, ho cominciato a trattarlo senza tanti riguardi … pure esagerando come faccio di solito col mio: trascinandolo, manovrando fra gli scogli con innumerevoli impatti, anche abbastanza violenti dovuti alla presenza numerosa in Sardegna di scogli a pelo d’acqua a volte invisibili controluce con mare increspato, il tutto a pieno carico. Finendo addirittura il viaggio con in groppa il Viking stracarico di Alberto a cui aveva ceduto il carrello! Se l’è trascinato per 2 km!!
Sicuro: sono kayak da mare di razza, il mare lo tengono davvero, infondono una grande sicurezza attiva e a volte ci vengono in soccorso, minimizzando i nostri limiti tecnici. L’utilizzo di accessori dedicati come il “sea-sock”, poi, ne rendono l’utilizzo fuori dal pozzetto o nelle uscite bagnate del tutto simile ai kayak con i più moderni standard di sicurezza. In questo caso l’ho dotato di una particolare legatura con funzione di cime perimetrali a cui ho fissato gli elastici per assicurare il carico sul ponte.
Questa legatura si è rivelata fondamentale anche per il trasporto a mano, in più provoca, alla struttura elastica dello skin, un aumento dell’insellamento della chiglia, migliorandone la manovrabilità compromessa dal carico aggiuntivo. Consiglio questo tipo di legatura anche per il traino (visto che in passato mi è capitato), altrimenti impossibile, di kayak senza cime e maniglie …ancora ne esistono!!!
Performante: gli Skin sono kayak leggeri come quelli in costoso carbonio, sono veloci, agili e manovrieri. Provate a virare con l’inclinazione dello scafo: non hanno eguali. Nel surf poi sono divertenti e facilmente controllabili, rispondendo con efficacia allo spostamento del peso del corpo si sente meno la necessità di appendici come il timone o lo skeg. La particolare struttura tende ad ammortizzare le sollecitazioni sull’onda con impatti più morbidi.
In questo caso il kayak, nonostante il carico, manteneva sempre un’ottima velocità di punta e di crociera, era estremamente stabile di rotta perdendo parte della capacità di virata con l’inclinazione dello scafo. Per via della posizione avanzata a cui ero costretto, e del sovrappeso del carico, il kayak perdeva un po’ d’agilità e diventava orziero in presenza di vento sostenuto, caratteristica che con vento ed onda significativa, curiosamente quasi svaniva. La manovra a cui il kayak era più sensibile, e che alla fine utilizzavo con più frequenza diventando quasi istintiva, sia per correggere la rotta che per minimizzare l’orza, era lo spostamento del peso del corpo verso poppa, piuttosto che ricorrere all’inclinazione del kayak e all’allargamento della pagaiata.
Senza voler raccontare il viaggio nei particolari, tanto non riuscirei a trasmettere nulla di più di quanto con eloquenza le foto dicono, vorrei sinteticamente dare alcune informazioni.
Abbiamo navigato per 6 giorni (degli 8 che ci eravamo posti come limite) pagaiando senza troppa fretta ma non lentamente, fermandoci però spesso e volentieri, percorrendo uno dei tratti di costa forse fra i più belli del …mondo …mediterraneo, fate voi, per un totale di 102 miglia alias 189 km.
Tranne una notte in campeggio (in questa parte di Sardegna non ce ne sono tantissimi), abbiamo sempre piantato le tende in spiagge bellissime e deserte. Il tempo ed il mare sono stati variabili ma per lo più clementi, da tenere presente solo il maestrale, che è il vento dominante e quando soffia, li si dispone da nord, quindi contrario. Il nostro carico prevedeva i 2 kayak completamente autonomi, quindi ognuno aveva la sua tenda, il kit cucina, il kit riparazione, il pronto soccorso ecc. Siamo partiti con tutti i viveri necessari per 8 giorni (c’e avanzato cibo!), compravamo solo acqua e pane! Dormendo e sostando per mangiare in posti isolati; l’unica vera necessità che ha sensibilmente ma positivamente influenzato la dinamica e la tempistica delle nostre soste è stato il “caffè”! La ricerca dal mare, di bar, chioschi, centri abitati ecc. in grado di farci un caffè sono stati un rito a cui non ci siamo mai sottratti!
Il mio compagno di viaggio, Alberto Ruggieri o “Albertino”, pagaiatore infaticabile, sempre allenato, fra i più preparati che io conosca. La sua presenza in acqua è stata una reale sicurezza aggiunta, il suo lavoro prima della partenza, la sua pianificazione del viaggio con tutte le possibili variabili è stato fondamentale, una sorta di tom-tom umano, determinante per la riuscita di questo viaggio. Suo è stato inoltre il lavoro di reportage, con più di 800 scatti! Stoicamente si è fatto tutto il viaggio con un infortunio al tendine del dito medio della mano sinistra occorsogli durante la preparazione del kayak prima dell’imbarco ad Arbatax. Grazie Albertino!!!
Note: -veramente utile in questo viaggio è stato il rullo d’alaggio, originariamente pensato per il bajdarka doppio e all’ultimo momento aggiunto alla nostra dotazione, un’autorealizzazione che tenevo sul ponte anteriore, fissato con 2 elastici e 2 ganci. Il suo uso ha facilitato gli sbarchi/imbarchi dei nostri kayak stracarichi, e si è rivelato quasi indispensabile sugli scivoli d’alaggio sempre infidi per le alghe. Tramite TIBURON-OSTIA il negozio di Andrea Scillato abbiamo intenzione di realizzarne un quantitativo da commercializzare, modificandolo con la possibilità di essere utilizzato anche come paddle-float.
- A parte l’infortunio al tendine di Alberto, a cui auguro un rapido recupero, fra i pochi problemi sorti nel viaggio segnalo il cedimento per anzianità del tappo del gavone anteriore del Viking e il “crollo” del carrello di Alberto. Poi considero fra gli inconvenienti di percorso, per averlo sottovalutato, la difficoltà di sbarco ad Olbia con kayak molto pesanti: il primo scivolo utile è molto lontano dall’imbarco dei traghetti, da tenere presente se non si vuole perdere la nave! Voglio anche far notare che “Gemma”, lo skin che ho usato, non ha avuto NESSUN inconveniente!
- Consigli utili: La tenda deve essere ben picchettabile perché la notte tira quasi sempre vento.
Le traverse della struttura dello skin devono essere ben smussate per facilitare lo scorrimento delle sacche stagne che altrimenti tendono ad impuntarsi … ma questo vale solo per i costruttori.
Ringraziamenti:
A Piero Nichilo, Costruttore dello skin Gemma, moralmente partecipe al viaggio. tutte le sere chiamava condividendo le nostre stesse emozioni, anche quando l’ho chiamato io per dirgli, per scherzo, che s’era “scucito” il kayak!!
A Federico Fiorini che ogni sera puntualmente ci forniva il bollettino meteo.
A Patrizia Novella che su internet ci scovava i possibili campeggi prenotando infine la nave per il ritorno da Olbia.
Alla mia compagna Stella Russo che oltre ad averci accompagnato in macchina alla partenza è tornata a recuperarci a Civitavecchia! …riconoscendoci!!
Giorgio Perrotta
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