sabato 10 dicembre 2011

East Greenland Kayak




Sul libro di H.Golden sono stati censiti, nel distretto della Groenlandia oltre un’ ottantina di imbarcazioni,divisi per periodo storico che vanno dal 1600 al 2000.
La costruzione del kayak per gli Inuit seguiva dei principi fondamentali.
Il primo, sicuramente era il perfetto equilibrio che si creava tra il cacciatore e la sua barca,infatti nella mitologia il kayak era rappresentato,come l’estensione del corpo del cacciatore, ed era impensabile o sicuramente non una buona idea,usare un kayak di un’altra persona.

Il secondo, non meno importante era la forma.
Il kayak,variava di forma a secondo le condizioni atmosferiche ,il vento e il tipo di caccia per cui veniva usato.

East Greenland Kayak.

E’ il kayak tipico della groenlandia orientale.

Nel corso dei secoli questa imbarcazione non ha subito una grande evoluzione,vuoi perché le condizioni del territorio erano prettamente specifiche,vuoi perché gli Inuit che presidiavano la costa orientale rimasero isolati per centinaia di anni,nei confronti delle popolazioni che abitavano le coste occidentali.




East Greenland Kayak di Ammassalik 1931





Il vento polare Piteraq,che nel periodo estivo raggiunge forze di 240km/h, ha contribuito in maniera sostanziale alla linea di questo accattivante kayak marino.
East greenland kayak chiamato anche di Ammassalik è sicuramente il kayak groenlandese più apprezzato se non il più bello, esteticamente si presenta con un ponte di coperta molto basso,non presenta ,come i kayak del versante occidentale slanci di prua e poppa, caratteristica peculiare è la velocità che riesce a mantenere sulle lunghe distante,vuoi per le sua lunghezza , vuoi per la chiglia poco svincolata .


East Greenland Kayak di Ammassalik 1932-33.



Per il suo volume così ridotto, è un kayak poco adatto a lunghi trasferimenti.
I kayak usati per le competizioni di eskimo,derivano sostanzialmente da questo kayak,con angolazioni dei longheroni diverse, che possono arrivare fino 27gradi, e con volumi ancora più ridotti .

Come costruttore di skin on frame,non potevo trascurare questi spendidi kayaks della costa orientale ,così come molti altri,ho realizzato due modelli di esemplari storici .

East Greenland Kayak di Ammassalik 1932-33.
lungh. m.5,88, largh.49 cm .

East Greenland Kayak di Ammassalik 1931
lungh. m.5,92 , largh.51cm.


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giovedì 1 dicembre 2011

SKIN-ON-FRAME: solido, sicuro, performante!



di Giorgio Perrotta

Fine ottobre 2010. Espongo a Piero l’idea di fare un viaggio lungo, di più giorni, con uno dei suoi Skin-on-frame al posto del mio solito kayak in vetroresina. In compagnia o da solo, con l’unico vincolo di un ritmo elevato di navigazione. Dove? …da decidere. Piero, subito d’accordo, non aspettava altro per consacrare, una volta per tutte, questa tipologia di kayak, ancora vittima innocente, almeno in Italia, di un certo ingiustificato scetticismo. Decidiamo in linea di massima il periodo: maggio-giugno, giornate lunghe, non troppo caldo, luoghi ancora poco frequentati se non addirittura quasi deserti.



Novembre 2010. Arbatax-Olbia. l’itinerario è deciso. Non troppo lungo, non troppo difficile … e soprattutto bello! In più facile da pianificare, partenza e arrivo Civitavecchia e traghetti a volontà!




Marzo 2011. Da qualche giorno sto aiutando Piero nella realizzazione del “Baidarka doppio”. Di fronte all’imponenza della struttura nuda di di quest’imbarcazione di quasi 6,5 metri non si può non rimanere affascinati! Lo stesso Piero non nasconde l’emozione nel vedere la “creatura” mentre prende forma. Fino a quando un bel giorno non ha esclamato: …e se venissi anch’io col Baidarka?




Da li a poco anche Alberto Ruggieri si è reso disponibile e io non nascondo di essere ben contento della sua autorevole presenza. All’occorrenza la sua indiscutibile preparazione potrà rivelarsi preziosa, garanzia della riuscita del viaggio in tutta sicurezza!




Giugno 2011. E’ il momento di partire, alla fine saremo solo io e Alberto, Piero a malincuore sarà costretto a rinunciare per impegni familiari.
Partenza fissata per mercoledì 8 Giugno da Civitavecchia con arrivo ad Arbatax giovedì mattina alle 5,00; il ritorno aperto, ma non oltre il 17 Giugno, da Olbia o Golfo Aranci.





Originariamente con Piero, avevamo pensato di realizzare appositamente un kayak con alcuni adattamenti specifici ad un viaggio di più giorni, ma soprattutto, costruito sulle mie misure! Il tempo tiranno poi, ci costringerà ad utilizzarne uno dei suoi. La scelta è andata su “Gemma”, fra tutte le realizzazioni di Piero il più generoso di volume e il più tranquillo (buona stabilità primaria) e molto veloce, volendo fa oltre 10 km/h. Peso circa 20 kg.




Gemma è un West-greenland costruito anche badando alla comodità del fruitore, con un discreto spazio nel pozzetto, ed un masik decentemente alto. E’ ben diverso da certe “realizzazioni” che ho visto recentemente, veramente poco fruibili, costruite inseguendo scuole di pensiero non curanti del fatto che gli “indoeuropei” morfologicamente sono diversi dagli eschimesi. Perdippiù sopravvalutando la nostra elasticità fisica, non considerando neppure che noi li utilizziamo ad una età spesso anche doppia della semplice aspettativa di vita degli eschimesi che a 15 anni erano già uomini! Un masik troppo aderente, non sopperisce a una nostra incompleta preparazione tecnica, non facilita quindi nessuna manovra, tantomeno l’eskimo, anzi per qualcuno può essere se non un ulteriore impaccio, sicuramente un potenziale pericolo!!!




Il giorno prima di partire, sul prato del giardino di casa di Piero, mi metto al lavoro per fare i dovuti adattamenti e una prova di carico, ovviamente statica. Tutto l’occorrente è stivato in 7 sacche stagne di vario volume, una borsa da ponte che fungerà da day-hatch, il carrello, 5 bottiglie di acqua e pagaia di riserva. Sistemato il tutto dentro e sul kayak, provvedo all’ultimo adattamento… me! Dovrò spostare la seduta in avanti, visto che il masik è posizionato sulle misure di Piero più alto di me di alcuni centimetri. Poi, elimino lo schienalino che impedisce il carico a poppa, sostituendolo con il paddle-float gonfiabile che mi fornirà un appoggio lombare, rapidamente amovibile.





Non c’è tempo per una prova in mare così caricato; circa 35 kg di equipaggiamento. Dovrò fare affidamento sulla bontà del progetto (su cui non ho dubbi) e sul mio spirito di adattamento!
Annotazione finale: al kit di riparazione aggiungo ago, filo, pezzi di tessuto e un po’ di vernice!





Una vacanza in kayak da mare fuori dagli schemi…
oppure no! … nel senso che gli Skin-on-frame sono i veri diretti discendenti delle imbarcazioni a cui si ispirano (a volte vagamente) gli attuali kayak da mare in composito e polietilene. Certamente dei veri strumenti atti ad affrontare mari a volte fra i più difficili di questo mondo, se ricostruiti con criterio filologico con quanto realizzavano e utilizzavano gli “esperti indiscussi”!
Quindi, gli “skin”, rispettosi dei loro progetti e delle loro scelte in quanto a linee d’acqua, SONO il “kayak da mare”! Ecco allora, che da questi schemi forse non si sta poi così fuori, Anzi!
Dopo avere avuto la fortuna, grazie a Piero, di provarne e utilizzarne diversi, anche in maniera intensiva, come in questo viaggio affrontato con la sua raccomandazione di strapazzare l’imbarcazione per farne emergere i limiti, per meglio definirli, mi sento di utilizzare questi termini: solido, sicuro e performante.



Solido: a dispetto della sua leggerezza non teme più degli altri kayak botte, colpi, sgraffi ecc. cosa di cui ancora oggi non mi faccio tanto capace… però è così! Le particolari attenzioni che all’inizio gli dedicavo in questo viaggio, giorno dopo giorno, sono venute meno e svaniti tutti gli ingiustificati timori, ho cominciato a trattarlo senza tanti riguardi … pure esagerando come faccio di solito col mio: trascinandolo, manovrando fra gli scogli con innumerevoli impatti, anche abbastanza violenti dovuti alla presenza numerosa in Sardegna di scogli a pelo d’acqua a volte invisibili controluce con mare increspato, il tutto a pieno carico. Finendo addirittura il viaggio con in groppa il Viking stracarico di Alberto a cui aveva ceduto il carrello! Se l’è trascinato per 2 km!!
Sicuro: sono kayak da mare di razza, il mare lo tengono davvero, infondono una grande sicurezza attiva e a volte ci vengono in soccorso, minimizzando i nostri limiti tecnici. L’utilizzo di accessori dedicati come il “sea-sock”, poi, ne rendono l’utilizzo fuori dal pozzetto o nelle uscite bagnate del tutto simile ai kayak con i più moderni standard di sicurezza. In questo caso l’ho dotato di una particolare legatura con funzione di cime perimetrali a cui ho fissato gli elastici per assicurare il carico sul ponte.




Questa legatura si è rivelata fondamentale anche per il trasporto a mano, in più provoca, alla struttura elastica dello skin, un aumento dell’insellamento della chiglia, migliorandone la manovrabilità compromessa dal carico aggiuntivo. Consiglio questo tipo di legatura anche per il traino (visto che in passato mi è capitato), altrimenti impossibile, di kayak senza cime e maniglie …ancora ne esistono!!!
Performante: gli Skin sono kayak leggeri come quelli in costoso carbonio, sono veloci, agili e manovrieri. Provate a virare con l’inclinazione dello scafo: non hanno eguali. Nel surf poi sono divertenti e facilmente controllabili, rispondendo con efficacia allo spostamento del peso del corpo si sente meno la necessità di appendici come il timone o lo skeg. La particolare struttura tende ad ammortizzare le sollecitazioni sull’onda con impatti più morbidi.






In questo caso il kayak, nonostante il carico, manteneva sempre un’ottima velocità di punta e di crociera, era estremamente stabile di rotta perdendo parte della capacità di virata con l’inclinazione dello scafo. Per via della posizione avanzata a cui ero costretto, e del sovrappeso del carico, il kayak perdeva un po’ d’agilità e diventava orziero in presenza di vento sostenuto, caratteristica che con vento ed onda significativa, curiosamente quasi svaniva. La manovra a cui il kayak era più sensibile, e che alla fine utilizzavo con più frequenza diventando quasi istintiva, sia per correggere la rotta che per minimizzare l’orza, era lo spostamento del peso del corpo verso poppa, piuttosto che ricorrere all’inclinazione del kayak e all’allargamento della pagaiata.





Senza voler raccontare il viaggio nei particolari, tanto non riuscirei a trasmettere nulla di più di quanto con eloquenza le foto dicono, vorrei sinteticamente dare alcune informazioni.


Abbiamo navigato per 6 giorni (degli 8 che ci eravamo posti come limite) pagaiando senza troppa fretta ma non lentamente, fermandoci però spesso e volentieri, percorrendo uno dei tratti di costa forse fra i più belli del …mondo …mediterraneo, fate voi, per un totale di 102 miglia alias 189 km.




Tranne una notte in campeggio (in questa parte di Sardegna non ce ne sono tantissimi), abbiamo sempre piantato le tende in spiagge bellissime e deserte. Il tempo ed il mare sono stati variabili ma per lo più clementi, da tenere presente solo il maestrale, che è il vento dominante e quando soffia, li si dispone da nord, quindi contrario. Il nostro carico prevedeva i 2 kayak completamente autonomi, quindi ognuno aveva la sua tenda, il kit cucina, il kit riparazione, il pronto soccorso ecc. Siamo partiti con tutti i viveri necessari per 8 giorni (c’e avanzato cibo!), compravamo solo acqua e pane! Dormendo e sostando per mangiare in posti isolati; l’unica vera necessità che ha sensibilmente ma positivamente influenzato la dinamica e la tempistica delle nostre soste è stato il “caffè”! La ricerca dal mare, di bar, chioschi, centri abitati ecc. in grado di farci un caffè sono stati un rito a cui non ci siamo mai sottratti!






Il mio compagno di viaggio, Alberto Ruggieri o “Albertino”, pagaiatore infaticabile, sempre allenato, fra i più preparati che io conosca. La sua presenza in acqua è stata una reale sicurezza aggiunta, il suo lavoro prima della partenza, la sua pianificazione del viaggio con tutte le possibili variabili è stato fondamentale, una sorta di tom-tom umano, determinante per la riuscita di questo viaggio. Suo è stato inoltre il lavoro di reportage, con più di 800 scatti! Stoicamente si è fatto tutto il viaggio con un infortunio al tendine del dito medio della mano sinistra occorsogli durante la preparazione del kayak prima dell’imbarco ad Arbatax. Grazie Albertino!!!





Note: -veramente utile in questo viaggio è stato il rullo d’alaggio, originariamente pensato per il bajdarka doppio e all’ultimo momento aggiunto alla nostra dotazione, un’autorealizzazione che tenevo sul ponte anteriore, fissato con 2 elastici e 2 ganci. Il suo uso ha facilitato gli sbarchi/imbarchi dei nostri kayak stracarichi, e si è rivelato quasi indispensabile sugli scivoli d’alaggio sempre infidi per le alghe. Tramite TIBURON-OSTIA il negozio di Andrea Scillato abbiamo intenzione di realizzarne un quantitativo da commercializzare, modificandolo con la possibilità di essere utilizzato anche come paddle-float.





- A parte l’infortunio al tendine di Alberto, a cui auguro un rapido recupero, fra i pochi problemi sorti nel viaggio segnalo il cedimento per anzianità del tappo del gavone anteriore del Viking e il “crollo” del carrello di Alberto. Poi considero fra gli inconvenienti di percorso, per averlo sottovalutato, la difficoltà di sbarco ad Olbia con kayak molto pesanti: il primo scivolo utile è molto lontano dall’imbarco dei traghetti, da tenere presente se non si vuole perdere la nave! Voglio anche far notare che “Gemma”, lo skin che ho usato, non ha avuto NESSUN inconveniente!
- Consigli utili: La tenda deve essere ben picchettabile perché la notte tira quasi sempre vento.
Le traverse della struttura dello skin devono essere ben smussate per facilitare lo scorrimento delle sacche stagne che altrimenti tendono ad impuntarsi … ma questo vale solo per i costruttori.







Ringraziamenti:
A Piero Nichilo, Costruttore dello skin Gemma, moralmente partecipe al viaggio. tutte le sere chiamava condividendo le nostre stesse emozioni, anche quando l’ho chiamato io per dirgli, per scherzo, che s’era “scucito” il kayak!!
A Federico Fiorini che ogni sera puntualmente ci forniva il bollettino meteo.
A Patrizia Novella che su internet ci scovava i possibili campeggi prenotando infine la nave per il ritorno da Olbia.
Alla mia compagna Stella Russo che oltre ad averci accompagnato in macchina alla partenza è tornata a recuperarci a Civitavecchia! …riconoscendoci!!

Giorgio Perrotta

martedì 29 novembre 2011

Le donne del Sof in Italia


Luisella

Non solo i maschietti kayakers iniziano ad apprezzare , richiedere, costruire un kayak tradizionale,ma ora hanno iniziato anche le femminucce .
Questo modo così antico di andare via mare con una vera replica del passato,costruito con le metodiche dei popoli artici,emoziona chiunque senza distinzione di sesso.
Luisella Valeri,che molti di noi conosciamo è stata la prima donna kayaker in Italia, ad essersi cimentata nella costruzione di un kayak tradizionale,frequentando un corso di workshop (che posso garantire, sufficientemente faticoso per un uomo).
Questo dimostra che passione e interesse non ha sesso e che baipassa la mancanza di conoscenza sulla manualità dell’uso di strumenti prettamente specifici .
Poi c’è Giuliana, che lo skin on frame se l’ho è fatto costruire dal suo compagno Leonardo,uno dei punti di riferimento come costruttore di kayak a tutto tondo in Italia ,insomma un grande.


Giuliana
Poi c’è Maria ,dove Tore, ,gli ha costruito uno splendido kayak tradizionale .



Maria

Infine Manuela che ha voluto andare oltre, chiedendomi di costruirle un baibarka, che ha voluto testare venerdì scorso al lago Di Bracciano.

Manuela

sabato 26 novembre 2011

Relazione sull'efficienza e il rendimento sulla pagaia groenlandese



Nel post precedente Giorgio ha spiegato l’effetto che produce la cavitazione nella pagaia groenlandese.
Più aumenta la velocità di battuta,più aumenta la quantità di aria che viene risucchiata giù lungo la lama,creando due pressioni di flusso alternato dietro la le pale della pagaia,che si manifestano in uno sventolio di bolle d’aria detto anche vortice di Karman il quale porta allo stallo della pagaia.


La similitudine la si può fare con un motore endotermico quando va in fuori giri o dalla relazione che c’è fra la lunghezza di una scafo e la sua velocità massima .
La cavitazione per una pagaia tradizionale,rappresenta uno dei maggiori punti a sfavore rispetto ad una pagaia moderna , a maggior ragione se viene usata in maniera prestazionale.

Nei forum ,nei blog ai raduni si assiste spesso ,a prese di posizioni, sul vantaggio della pagaia a cucchiaio rispetto alla tradizionale e viceversa, alcune volte fino ad arrivare a dei scontri verbali veri e propri, dettati molto spesso dal fanatismo di posizione, il più delle volte arricchito molto dall’arroganza più che dalla conoscenza.


Sulla pagaia tradizionale molto è stato detto,i puristi della tecnica groenlandese, ne declamano ,come fosse una poesia gli innumerevoli vantaggi, che chiaramente non ripeterò per non essere ripetitivo .
La cosa che a me interessa è sapere, quali sono i reali vantaggi di una pagaia groenlandese, gli ulteriori miglioramenti fattibili per aumentarne il rendimento, visto che oltre essere un fruitore , ne sono anche costruttore.


Innanzitutto diciamo che il RENDIMENTO è il rapporto tra un lavoro svolto e l’energia totale spesa per compierlo.
Ciò non può mai assumere un valore superiore a uno, che rappresenta il rendimento ideale ( ovvero tutta l'energia sviluppata viene trasferita completamente senza perdite) questo perché purtroppo bisogna tener conto delle resistenze.

Le resistenze, , sono delle forze che si oppongono al movimento di un corpo,nel nostro caso parleremo di resistenza fluidodinamica o idrodinamica in riferimento al moto nei liquidi .
Una maggior resistenza porterà a un decadimento prestazionale come una minore la migliorerà.
Le resistenze che diminuiscono il rendimento di una pagaia, di un remo ecc. sono;
La superficie che la pagaia espone al moto con cui essa si sposta nell’acqua.
La viscosità del liquido.
IL coefficiente di penetrazione della pala determinata dalla sua forma.
Le resistenze indotte e le passive.


Queste considerazioni, sicuramente noiose per molti,spero interessanti per pochi, nascono dall’idea di poter intervenire dove ciò è possibile.
Un parametro da tenere in considerazione è la tecnica della pagaiata,o ancor meglio la possibilità di sfruttare al meglio la pagaia nella condizione del momento, d’altronde le dinamiche del gesto atletico, sono correlate da una serie di variabili ,che un buon pagaiatore dovrebbe saper leggere o interpretare.


Se una pagaia ha un comportamento eccessivo a cavitare(formazione di cavità riempite con un gas in mezzo a un liquido in movimento) per difetto di forma,la cosa migliore sarebbe quella di modificare l’angolo di attacco in corsa aumentando la negatività della pala, diminuendo la velocità di passata,o aumentando la profondità della stessa.

Io penso che ognuno di noi dovrebbe e potrebbe testare la bontà della propria pagaia ,senza limitarsi all’effetto estetico degli abbinamenti del legno, tantomeno al kayaker di grido a quello super esperto, che invece di suggerire sentenzia giudizi , opinioni e consigli a volte errati.

Questa prova la si può fare , magari un giorno che non avete questa grande voglia di uscire in kayak per fare chilometri.
Comunque, pagaiando in acqua calma con un po’ di attenzione noterete che nella superficie davanti alla pala della pagaia si crea come un piccolo cuscino d’aria,mentre dietro una cavità con una scia piena di bolle d’aria,la quale determina la turbolenza che crea una diminuzione di resistenza che si oppone allo spostamento della pagaia.

Ancora oggi, (probabilmente perché non c’è una risposta significativa di mercato sulla pagaia tradizionale) ,alcune cose sono ancora incomprese sulla meccanica dei fluidi che influenzano il comportamento di una pagaia groenlandese .
Nel passato invece consultando il libro di Golden ; abbiamo la consapevolezza che gli eskimesi hanno studiato il comportamento delle proprie pagaie per millenni, gli innumerevoli modelli , censiti sul testo in periodi storici diversi ,ne testimoniano la loro grande ricerca.

mercoledì 16 novembre 2011

Come controllare il fenomeno della cavitazione nella pagaia groenlandese






I motivi per cui la pagaia groenlandese cavita sono essenzialmente due: Il primo è legato alla sua fisicità, alla sua lunghezza e in misura minore alla sua forma e la seconda, “come” viene utilizzata.
Possiamo poi aggiungere che le due cause riescono ad avere un’influenza reciproca, ciò vuol dire che un certo tipo di pagaia entra più facilmente in cavitazione con un certo stile di utilizzo e viceversa.
Una premessa, per cavitazione si intende quel fenomeno per cui dell’aria viene risucchiata in maniera turbolenta da un corpo che si muove con relativa velocità immerso in un liquido, il fenomeno diminuisce aumentando la profondità dell’azione, fino all’annullamento. Quindi per fare un esempio un’elica può cavitare vicino alla superficie dell’acqua dove riesce a risucchiare aria, non cavita in profondità.
Il fenomeno aumenta con l’aumentare della velocità relativa del corpo immerso rispetto al liquido.
Quindi facendo il solito esempio un elica che gira lentamente non ce la farà a trascinare dell’aria sotto l’acqua, diversamente dalla stessa che gira velocemente. Idem con la pagaia che utilizzata lentamente non cavità, diversamente da quando viene utilizzata con forza e quindi con velocità relativa della stessa rispetto all’acqua.
Veniamo alla nostra pagaia che cavita parlando dei primi motivi per cui questo fenomeno si presenta, quindi delle sue caratteristiche di forma.
In primo luogo la sua lunghezza, la pagaia groenlandese è molto lunga, ciò provoca una velocità periferica proporzionalmente elevata, ovviamente in particolar modo alla sua estremità.
Fenomeno evidente quando iniziamo a pagaiare da fermi, magari con forza (succede ugualmente anche con la pagaia moderna).
Con l’aumentare della velocità del kayak e il diminuire della velocità relativa della pala immersa rispetto all’acqua che consideriamo ferma, il fenomeno della cavitazione diminuisce, (più rapidamente con la più corta pagaia moderna) fino a sparire del tutto o quasi.
Quasi, perché di solito alla sua estremità rimarrà quella trecciolina filiforme di bollicine come residuo della cavitazione.
Tutti noi che utilizziamo la groenlandese poi abbiamo notato che a parità di lunghezza comunque alcune pagaie risultano più soggette al fenomeno della cavitazione, quindi la sua forma, i suoi volumi ma soprattutto il grado di rotondità dei suoi bordi influenzano l’insorgere del fenomeno.
Qui entriamo in pieno nelle capacità, nell’esperienza e conoscenza dell’artigiano che le costruisce, di pagaie groenlandesi ce ne sono di scarse e di ottime, quindi che cavitano particolarmente o no.
Anche se apparentemente simili, il loro comportamento varia di molto e chi è bravo a farle fa la differenza!
La seconda motivazione del fenomeno della cavitazione della pagaia, è legato allo stile di pagaiata e all’esperienza di chi la utilizza.
Questo tipo di pagaia per il fatto che è lunga va utilizzata il più orizzontalmente possibile, quindi il più vicino possibile alla superficie dell’acqua, direi relativamente lontano dallo scafo.
In questo modo chi la conosce ne apprezza le sue intrinseche qualità, che non sto qui ad elencare, ma allo stesso tempo, tenerla così vicino alla superficie dell’acqua la rende soggetta al fenomeno della cavitazione.
A questo punto entra in gioco il corretto utilizzo della stessa e l’esperienza, chi la utilizza correttamente sa che la passata in acqua dovrà essere con l’inclinazione della pala negativa.
L’inclinazione negativa della pala, oltre a migliorare l’ingresso e l’estrazione, provoca un importante effetto di “deportanza”, quindi un aumento di pressione sopra la pala immersa, subendo una forza che cercherà di spingerla verso il fondo. Contrastando l’affondamento della stessa e allo stesso tempo regolando l’incidenza negativa, la pala lavorerà sotto uno strato di acqua con un’aumentata pressione, proprio questo, oltre a migliorare sensibilmente la spinta che consente di minimizzare il fenomeno della cavitazione.
Giorgio Perrotta

martedì 1 novembre 2011

Riflessioni sul Kayak tradizionale




Quando sei anni fa ho deciso di costruire il mio primo kayak tradizionale non
avrei mai potuto immaginare ,che nel futuro ci sarebbe stato un interesse così
profondo,verso questo tipo di costruzione.
Dopo aver costruito scafi, in legno, in composito ecc. la scelta del kayak
tradizionale è stata consequenziale, perché tutti i kayak marini odierni
risalgono a questo antico progetto , ma soprattutto perché volevo misurarmi con
le capacità di questo popolo, di cui poche cose sapevo, che sfruttando solo
esperienze empiriche, con mezzi e materiali tirati fuori da un ambiente arido,
privo di ricchezze naturali, con un clima rigido, siano riusciti a concepire,
ed ha realizzare nel corso dei millenni delle imbarcazioni che sono arrivate
alla perfezione assoluta, delle vere opere d’arte.
Realizzare un’imbarcazione tradizionale,costituita da quattro pezzi di legno
e rivestita con un telo di cotone, con i mezzi e le possibilità che offre il
nostro mondo occidentale, è stato un grosso stimolo a questo progetto,che mi ha
portato comunque a fare un percorso molto più complesso di quello che m’
aspettavo.

E’ stato qualche cosa in più di una semplice conoscenza tecnica e di
costruzione, in realtà l’aspetto antropologico è la cosa che più mi ha
coinvolto, e grazie ad autori come: Birket-Smith, F.De Laguna, R.Lamblin,
Zimmerly ho avuto la possibilità di conoscere un popolo, dotato di una
formidabile abilità artigianale, ed un mondo dove “la terra, l’uomo, e il mare,
sono intimamente legati”,e dove il kayak ha rappresentato una delle risposte
più concrete,non solo come simbolo della loro cultura,ma un mezzo dalle
caratteristiche marine estremamente sofisticate tali da da mettere in crisi
anche le civiltà tecnologicamente più avanzate del tempo.
.
Per millenni quest’imbarcazione sono state costruite con regole orali e non
con dei piani costruttivi, dove le dimensioni del kayak, , venivano
determinate, facendo riferimento, alle dimensioni del cacciatore, insomma il
kayak era un adattamento totale alla morfologia del suo fruitore, ed era unico
proprio perché la sua forma partiva dal corpo dello stesso.

Il contatto con quest’universo cosi particolare, diverso dal nostro, crea
qualche cosa di magico,che parte dalla ricerca storica che s’instaura in tutte
le fasi costruttive del kayak, con un effetto contagioso.
Innanzitutto, perché ci costringe, in qualche maniera a lasciare, il mondo
moderno, altamente tecnologico e profondamente consumistico, dove tutto scorre
ad una velocità frenetica, per entrare in quello arcaico degli Inuit, dove
regna l’essenza spirituale con le sue leggi d’osservazione, contemplazione e
pazienza, dove si richiede un’ affinità spartana, in quanto il kayak
tradizionale è un mezzo di navigazione privo di comodità e spoglio dei vari
accessori, tanto amati da noi occidentali, ma anche un mezzo utilizzato per
secoli da popoli e culture del passato, utilizzato certamente non per scopi
ludici.
Se la tecnica costruttiva utilizzata è perfettamente filologica con quella
storica, antica, tradizionale si crea un rapporto speciale con il suo kayaker,
grazie alla sua unicità, perché sarà costruito come un pezzo unico, per ed
intorno al nostro corpo ed ogni esemplare, non sarà mai uguale, perché non
uscirà da nessuno stampo, cantiere o negozio, ma sarà il puro risultato, lo
specchio di quello che abbiamo saputo interpretare, trasmettere o realizzare.
Un rapporto speciale perché ci porta, ad immergersi nel silenzio totale, a tu
per tu con la nostra barca da realizzare, tra mille incognite, entrando in
simbiosi con lo stesso spirito ancestrale degli Inuit,basato sulla
contemplazione ed osservazione.
Un rapporto speciale, in qualche maniera poetica anche per tipo di materiale
che usiamo; respirare l’odore del legno, toccare la fibra densa del cotone
organico, sentire il suono degli strumenti di lavoro, respirare il profumo dell’
olio di lino, sono sensazioni,manualità , emozioni che non riusciamo più ad
apprezzare, ma che comunque ci riportano al nostro passato di vita vissuta,
specialmente per le persone non più giovanissime come nel mio caso.
Un rapporto speciale, perché non termina con la fine della costruzione, ma
continuerà a rivivere ad ogni contatto, ad ogni uscita nel mare,come nel lago,
in quanto sarà sempre l’incontro con il nostro oggetto ,quello che abbiamo
visto crescere e prendere forma sotto le nostre mani ,fino a diventare un
legame,quasi intimo in quanto non esistono i segreti nella sua struttura di cui
conosciamo bene ogni piccolo segreto..
Chi si è avventurato,nella conoscenza o nella costruzione di un kayak
tradizionale,capirà bene ciò che ho cercato di esprimere.
Il kayak per un Inuit,era un mezzo usato essenzialmente per la caccia veniva
costruito su specifiche dettate dal territorio marino e dal tipo di preda per
cui veniva utilizzato,per noi sarà un mezzo ludico, potremmo scegliere, quello
a basso volume,se vogliamo esibire le nostre capacità di appoggi ,eskimo o
recuperi,quello con più volume, se decidiamo di fare navigazione,ad ognuno il
proprio kayak,senza pretendere,di raggiungere la capacità di stare nel kayak
come un Inuit,o Aleutino .
Non dobbiamo dimenticare che un eschimese è nato cresciuto e vissuto in totale
simbiosi con la sua imbarcazione.
Tant’è vero che “ un kayak non è altro che il prolungamento del proprio corpo”
questo secondo la cultura Inuit,ciò rende perfettamente l’idea di ciò che
presenta un kayak per un eschimese.
Quello che non potrà mai diventare per noi,quindi affidiamoci al buon senso,
nella scelta del nostro kayak,e nell’uso che vorremmo fare, senza cadere,nelle
emulazione o nei fanatismi,questo per godere al meglio il nostro giocattolo.
Piero Nichilo

lunedì 3 ottobre 2011

In Italia nessuno ne' ha parlato


Mercoledì 28 settembre 2011 Anders Thygesen a bordo di un baidarka tradizionale(skin on frame) ha concluso la sua spedizione lungo le coste della Norvegia in completa autonomia percorrendo3063km in 73 giorni con una media di 42 km al giorno,in un contesto ambientale sicuramente non facile, e con un mare che poco perdona.
Per chi è appassionato di questo mondo,il mondo del kayak marino, eventi di questo genere meriterebbero sicuramente più visibilità e considerazione,invece che leggere le solite e ripetute cazz.che si leggono tutti i giorni in rete.
Nel suo blog:
http://kajakkspesialisten.blogspot.com/
non ci sono solo descritte le difficoltà affrontate di questo viaggio , ma molto altro, dalla progettazione e costruzione dello scafo, alla minuziosa ricerca dei dettagli logistici,che organizzativi .,insomma un esempio ,un ritorno al passato,di come si può ancora navigare ,in un’era così tecnologica,seguendo il modo e la cultura degli antichi popoli artici.

lunedì 19 settembre 2011

L'arte di arrangiarsi è scomparsa?



Pagaiare con un kayak,autocostruito,emoziona e gratifica.
In Italia,nonostante,la capacità ,la fantasia ,l’arte di arrangiarsi,di risolvere problemi fuori da schemi precostituiti, che ognuno di noi possiede,e che hanno fatto la differenza con altri popoli, l’autocostruzione in senso lato è stata sempre poco diffusa da noi, a differenza degli europei ed extra europei,dove è stata ed è normale consuetudine anche da parte femminile,strano non vi pare?
Sarà forse un fatto generazionale? Dove oggi tutto è basato >SUL TUTTO E’SUBITO< dove imperano i suv,le smart,i phone,i navigatori satell.e mille altre diavolerie, da cui sempre più ne siamo dipendenti,togliendoci l’associazione di idee,pilastro fondamentale,per una buona costruzione mentale.

giovedì 23 giugno 2011

Verifica usura skin on frame


Questa mattina ho deciso di fare un controllo minuzioso su Gemma ,lo skin on frame che Giorgio ha usato per il viaggio in Sardegna (Arbatax-Olbia) di 102 miglia.









Dopo aver rinunciato per motivi di famiglia a questo viaggio, che avrebbe dovuto verificare la bontà di un progetto come il baidarka two hole, Giorgio ,rimasto solo ha voluto ugualmente decidere di affrontare l’esperienza di navigazione con uno skin on frame
La scelta è cascata su Gemma,probabilmente l’unico kayak di quelli da me costruiti,più adatto alla navigazione e al campeggio nautico di più giorni.
Chiaramente ci sono state sia verifiche che problemi da risolvere, adattare per esempio lo scafo costruito per le mie misure a Giorgio , attrezzare il ponte di coperta per la navigazione,decidere come inserire le sacche stagne o dove inserirle, insomma una serie di incognite,che si sono dovute affrontate,nel giro di poche ore,perché questa decisione forse un po’ folle, è stata presa all’ultimo momento.
Evviva gli audaci.
La cosa che mi sono premesso è stata quella di dare una valutazione assolutamente obiettiva dello stato del kayak dopo un uso sufficientemente impegnativo,così come la raccomandazione per Giorgio di usare il kayak senza nessun riguardo.
Gemma è stato costruito a Marzo del 2008, ed è una mia interpretazione di come concepisco lo skin on frame.
Ho costruito svariate repliche storiche di kayak groenlandesi,sicuramente affascinanti ed emozionanti ,ma poco fruibili,per quello che intendo deve essere un kayak da mare.
All’atto del viaggio il kayak non presentava problema di nessun genere,ne di rivestimento ne di telaio.
Con enorme meraviglia ,constato che il kayak è assolutamente identico a prima della partenza,a parte l’essere diventato molto sporco,sotto la chiglia non ci sono ne segni di usura ,ne di sfregamento.









sotto la chiglia non si evidenziano segni di usura







L’idea di inserire dei rinforzi di rovere a prua come a poppa ha funzionato.
Anche il telaio,che viene consolidato con semplici legature e spine di legno ha tenuto benissimo, a riprova della validità del sistema ,dove l’energia di




nel telaio le legatura hanno tenuto benissimo







spinta,viene scaricata,ed assorbita, dalla flessibilità combinata dal telaio che si comporta come un cesto di vimini,e dal rivestimento di tela, che consolida l’insieme,ma crea anche una sorta di variazione progressiva di assorbimento d’urto.

giovedì 16 giugno 2011

Da Arbatax a Olbia in skin on frame


Cliccare sulla foto per entrare nell'album dell'intero viaggio



Il viaggio Arbatax olbia si è concluso.

Ieri pomeriggio Alberto mi ha riconsegnato lo skin on frame,che Giorgio ha usato e testato per l’intero percorso,esattamente 102 miglia.
Che dire il kayak l’ho trovato in splendila forma ,nonostante avessi detto a Giorgio di non usare nessun riguardo a proposito, anzi di strapazzarlo a dovere per mettere in evidenza eventuali limiti di uno scafo costruito, così come veniva costruito 3000 anni fa.
A breve Giorgio scriverà le sue valutazione obiettive di questa esperienza, denunciando i pregi e difetti,di questo modo così antico di andare per mare.
Da parte mia c’è l’enorme soddisfazione e la profonda convinzione ,che queste barche,non sono oggetti da museo,o da divertimento per il rolling,ma vere imbarcazioni da navigazioni, che possono competere ,se non addirittura essere più efficaci ed efficienti di kayak moderni.

martedì 14 giugno 2011

Un viaggio mancato


Sono sul depresso,in questo momento mi sarei dovuto trovare, a Tavolara in Sardegna per compiere l’ultimo tratto del viaggio : Arbatax – Golgo aranci con il mio baidarka two hole,insieme a Giorgio Perrotta e Alberto Ruggeri;loro sono la,oramai al termine del viaggio, che avevamo stabilito di compiere in nove giorni,ma che in realtà ne sono stati sufficienti sei.






Avevo preparato tutto nei minimi dettagli,tale da farmi rinunciare anche a Bibione,purtroppo Nada si è bloccata con un problema al suo ginocchio.ed è saltato tutto,la cosa positiva è che Giorgio,testardamente ha voluto comunque affrontare il viaggio sempre con un kayak tradizionale,un greenland kayak preparato in quattro e quattrotto,che comunque ha dato delle risposte inaspettate ,sia per il tipo di viaggio in cui è stato sottoposto che per le qualità marine che ha mostrato,e pur sempre un contentino.

venerdì 27 maggio 2011

Domani 28 Maggio varo del two hole baidarka


Domani 28 Maggio al circolo Dragolago a Vigna di valle ( Bracciano) ci sarà il varo di questa antica barca.

Il varo rappresenta solo l’aspetto corografico dell’evento, in realtà quello che mi preme è iniziare una serie di test dinamici , la scelta del lago e non del mare per il varo è dettata proprio da questa esigenza,la mia prima necessità ,come la necessità di ogni costruttore e di fare l’assetto dell’imbarcazione, l’acqua piatta di un lago ,come il lago di Bracciano al mattino e l’ideale per questo.

Il Baidarka two Hole è uno scafo complesso,le dimensioni notevoli, la posizione dei pozzetti inseriti agli estemi della barca la chiglia con ua V pronunciata, devono portare necessariamente ad una messa a punto dell’imbarcazione,quanto più saranno mirati questi aggiustaggi ,bilanciamento,d’assetto distribuzione dei pesi,posizione di seduta ,centraggio mediale dei seggiolini ecc. tanto più il kayak ne trarrà benefici in navigazione.
Un’altra prova domani sarà quella di verificare se la barca avrà bisogno del timone.
Volevo Ringraziare pubblicamente Giorgio Perrotta, che ha partecipato ed ha contribuito alla realizzazione di questo mio sogno oramai realtà.

domenica 3 aprile 2011

Ancora un pò di pazienza





Questa mattina ,di buon ora sono sceso in laboratorio,il baidarka ,oramai pronto,da un paio di settimane,per essere rivestito,sembrava volesse dirmi:
MA QUANDO MI PORTI NEL MIO AMBIENTE NATURALE…… IL MARE

Capirai lo dici a me…







..
Purtroppo sto aspettando il timone con le relative pedaliere.
Si ho deciso di inserire un timone a questo scafo,d’altronde il baidarka two Hole ha una lunghezza considerevole,parliamo di un’imbarcazione da m.6,30, anche le versioni storiche possedevano un rudimentale timone , forse sarebbe stato giusto costruirlo in legno,per rispettare la tipicità dello scafo,ma onestamente mi sono stancato di costruire dei kayak replica, anche perché mi sono reso conto che le mie esigenze,sono completamente diverse,rispetto ad un cacciatore Inuit, o ad un Aleuto ,poi a 60 anni si comincia a richiedere la comodità e la praticità delle cose che si usano,quindi inserirò due comodi seggiolini, pedaliere registrabili,e un timone ,che mi toglierà un bel po’ di problemi,tutto questo alla faccia dei puristi ,ciò non toglie che lo scafo comunque è stato costruito,rispettando quello che è la tipicità dello skin on frame .
Probabilmente tutto ciò farà lievitare di alcuni kg. Il peso della barca,spero comunque di rientrare entro i 30 kg.

giovedì 10 marzo 2011

Aleut Two Hole Kayak 160336


Una cosa è certa ,questo kayak non verrà sicuramente inosservato,e non solo per le dimensioni,ma per la bellezza della sua linea marina,semplicemente spettacolare.









Per chi è appassionato di tecnica navale, non può che rimanere estasiato da una simile imbarcazione sicuramente complessa e laboriosa sul piano costruttivo ,ma proprio quella che regala emozione e gioia, che parte dall’idea ,allo sviluppo dei disegni, fino ad arrivare al sospirato varo in mare.